L’ipertrofia muscolare è un evento determinato da diversi fattori.
A determinare tale evento è lo stress meccanico (tensione) a cui sono sottoposte le cellule muscolari ed il conseguente danno che scompensa temporaneamente l’architettura di queste cellule ed ancora il cambiamento degli equilibri chimici intracellulari che si verifica durante e dopo lo stress.
Il danno muscolare sembra essere direttamente proporzionale all’intensità relativa, ovvero alla percentuale del cedimento muscolare.
Più una serie allenante si avvicina al cedimento e più questo viene tradotto in danno in sede miocitaria.
Ovviamente è fondamentale l’utilizzo di un quantitativo di resistenza (carico) sufficiente a garantire il reclutamento ottimale, attraverso meccanismi descritti in seguito.
Significa che il cedimento oltre le dieci ripetizioni serve a ben poco…
INIZIA TUTTO CON UN IMPULSO NERVOSO
L’impulso nervoso consiste in un rapido cambiamento del potenziale elettrico, chiamato potenziale d’azione.
L’effetto finale è la contrazione muscolare.
Il potenziale si propaga lungo il sarcolemma ed i tubuli T, stimolando il reticolo sarcoplasmatico a rilasciare gli ioni calcio che legano la troponina posta sulle molecole di actina.
Questo legame genera lo spostamento della troponina e della tropomiosina liberando i siti attivi, che divengono a loro volta sito di legame per le teste di miosina.
Queste ruotano verso il centro del sarcomero traendo energia dall’idrolisi di una molecola di adenosintrifosfato.
Il ciclo può riprendere fintanto che vi è calcio a sufficienza per liberare i siti attivi sulle molecole di actina. (I passaggi sono descritti in dettaglio nell’immagine A).
Questo dipende dal crescente accumulo nell’ambiente contrattile del muscolo di ioni idrogeno liberati dalla conversione dell’acido lattico in lattato, che è la vera causa dell’acidosi.
Il lattato funge da tampone fino a quando la concentrazione di ioni idrogeno non supera la concentrazione di lattato. Questo fenomeno arresta la glicolisi anaerobica ed il rilascio di calcio.
Questo fenomeno viene definito cedimento metabolico, però verificandosi con l’utilizzo di resistenze inferiori, è un fattore riconducibile all’ipertrofia, ma scaturendo meccanismi diversi da quelli descritti.
LA FREQUENZA DELL’IMPULSO DETERMINA LA QUANTITÀ DI RESISTENZA UTILIZZATA
La fibra nervosa può non condurre alcun impulso oppure condurne fino a mille al secondo, obbedendo alla legge del tutto o nulla.
La frequenza degli impulsi rappresenta il linguaggio delle fibre nervose.
Dalla differenza di frequenza dipende l’effetto che la fibra nervosa ha sul tessuto innervato.
Questo significa che siccome è necessario almeno un impulso nervoso in un movimento qualunque come può essere quello di flessione del gomito, nel conseguente reclutamento di un’intera catena cinetica (gruppi muscolari), l’entità del reclutamento dipende dalla quantità di impulsi condotti nell’unità di tempo.
La frequenza determina se l’oggetto da sollevare sarà un panino farcito o un bilanciere da 50 chilogrammi in un curl.
PROTRARRE UNO STIMOLO OLTRE IL CEDIMENTO RISULTA CONTROPRODUCENTE
Mentre una contrazione progredisce, la frequenza di reclutamento diminuisce.
Il sistema nervoso inibisce il reclutamento muscolare a determinate intensità per preservare i muscoli da un danno troppo ingente.
Si è visto come in una serie intensa che dura più di trenta secondi (ad esempio protratta con l’utilizzo di ripetizioni forzate), nonostante le unità motorie raggiungano il massimo livello di attività contrattile, il meccanismo di reclutamento è inibito dell’80%, attraverso un meccanismo retrogrado messo in atto del sistema nervoso.
Prolungare il tempo sotto tensione quando il sistema nervoso è incapace di reclutare rischia di disorientare lo stimolo.
Al contrario, modulando il lavoro attraverso il mantenimento di un minimo di margine tra le ripetizioni eseguite e quelle eseguibili, si favorisce la massima attività muscolare evitando l’inibizione retrograda.
Quante serie fare dipende dal carico, da cosa si farà dopo ecc…
INDIVIDUARE LA FREQUENZA OTTIMALE IN BASE AGLI STIMOLI SOMMINISTRATI E DA SOMMINISTRARE NEL TEMPO
Lo stimolo allenante somministrato all’organismo dev’essere costante.
Dopo un paio di settimane di sospensione o comunque di allenamento caratterizzato da insufficienti quantità di tensione sviluppata dal sistema muscolare, si verifica un innalzamento del tasso di degradazione proteica, che riduce la sezione trasversa delle fibre muscolari e la forza che sono in grado di generare.
Aumentare la sensibilità all’allenamento attraverso il deallenamento aumenta il danno muscolare alla ripresa di questo, ma solo fino a quando può essere recuperata o aumentata la quantità di tensione meccanica a cui sottoporre i muscoli per scatenare una risposta adattativa.
“Altrimenti si diventa resistenti alla troppa sensibilità”…
Allo stesso modo la capacità di sopportazione del volume all’incrementare di questo, produce danno muscolare solo se può essere mantenuta una quantità di tensione meccanica sufficiente.
CONCLUSIONI
Ad un certo punto la resistenza (peso) dei sovraccarichi utilizzati non può più essere incrementata, ma a parità di resistenza, si può lavorare per aumentare il quantitativo di lavoro eseguito.
Prima di giungere a quel punto, però, il troppo lavoro può soffocare la possibilità di poter utilizzare ad un certo punto del percorso (che dura per sempre…) la quantità di sovraccarico atta a produrre sufficiente tensione meccanica e relativo danno muscolare.
Di Scilipoti Nino