IL TUT NON È UNA TECNICA SPECIFICA, MA UNA DELLE VARIABILI DELLA SERIE
Con un pizzico di delusione apprendo che anche le menti più navigate ed influenti nel settore del bodybulding, fanno confusione con concetti basilari.
Non è possibile sentir dire che ci si allena “con il TUT”, che il TUT può essere addirittura “rallentato”, come se la manipolazione della velocità delle varie fasi della ripetizione, rallentandola o aumentandola, provochi a prescindere un TUT maggiore o minore.
Non è possibile sentir dire: “quale TUT? 402/201/303 “, non è possibile sentir dire “il TUT bisogna saperlo fare”…
Confondere il tempo sotto tensione (TUT) con una tecnica specifica come il super slow o con un’altra variabile come la cadenza della ripetizione è per quanto mi riguarda inaccettabile.
Però magari si tratta di un errore comunicativo, quindi utilizzo semplicemente questa situazione come pretesto per scrivere un articolo in cui faccio chiarezza sull’argomento, anche se ci sarebbe poco da dire, e per porre un un punto di domanda: “meglio così o cosá”?
Domanda a cui non posso rispondere con certezza, ma poiché non faccio parte del girone degli “ignavi”, mi schiero con l’idea più logica che mi sono fatto spremendo le meningi (ammesso che io ne possieda), con tutti i limiti e gli errori determinati da questo fattore.
Ma andiamo per gradi…
UNA VOLTA PER TUT… CHE COS’È IL TUT!
Il TUT è il tempo sotto tensione ed è una variabile della serie che riguarda l’aspetto temporale, in quanto indica la durata della tensione a cui sono sottoposte le unità motorie nel corso di una serie.
Per capire se sia breve o protratto è necessario rapportarlo ad un tempo X a cui idealmente si fa riferimento per stabilire quanto una serie sia funzionale all’obiettivo.
Di sicuro non è la variabile che riguarda la velocità di esecuzione, perché quella si chiama cadenza.
La cadenza fa riferimento alle fasi della ripetizione, quindi alla durata della fase concentrica/eccentrica e ad eventuali pause in posizione di massimo allungamento/contrazione e/o anche in segmenti intermedi tra esse.
In ogni serie è prodotto un TUT, poi può essere più breve o più lungo in riferimento alla serie precedente o a quella successiva, ma di certo non si può affermare di allenarsi con il TUT, semplicemente perché non è possibile allenarsi senza.
TEMPO SOTTO TENSIONE E STIMOLO IPERTROFICO
Per reclutare al meglio tutte le unità motorie in modo efficiente (dalle primissime ripetizioni), bisogna caricare l’80% dell’intensità assoluta.
Poi occorre procedere orientando lo stress nella direzione che più ci interessa per fare in modo che questo carico sia efficace per produrre lo stimolo che ci serve.
La direzione in cui dobbiamo orientare questo stress è rappresentato dal raggiungimento di un quantitativo di stimolo necessario a provocare l’innesco dell’ipertrofia, che essendo un fenomeno multifattoriale, necessita il verificarsi di più eventi scatenati.
Il primo è dato dal carico, che attiva i mecca-sensori sulle membrane cellulari.
Il secondo fattore è la traduzione del segnale da parte dei sensori, che viene trasformato da meccanico a chimico, inducendo l’aumento di proteine strutturali e contrattili.
Per garantire un trasferimento di segnale ottimale, occorre un determinato quantitativo di tensione prodotta.
Altri fattori provocano ipertrofia attraverso meccanismi indiretti come l’attività degli ormoni proteici e dei fattori di crescita, però mi soffermo su ciò che direttamente si può controllare.
La contrazione e l’allungamento delle fibre muscolari sotto-carico è il fattore gestibile attraverso l’allenamento.
Per reclutare ogni fibra, come detto prima, è necessario utilizzare un carico che consente di eseguire al massimo dello sforzo una serie che va da 6 a 10 ripetizioni.
Lo stress meccanico sarà sufficiente già dalla prime ripetizioni, ma saranno le ultime a garantire anche un sufficiente stress metabolico.
Ho già scritto diversi articoli sulla mia idea riguardo il quantitativo di lavoro necessario per ricavare il massimo stimolo ipertrofico ed ho scritto anche articoli su come carichi maggiori e/o inferiori possano essere utilizzati per offrire risultati soddisfacenti e per questo, vado direttamente oltre.
DOMANDA DA UN MILIONE DI DOLLARI
Il quesito è questo:
L’utilizzo dello stesso carico e dello stesso ROM (range of motion) in due distinte serie, protraendo la tensione per lo stesso quantitativo di tempo, ma con due velocità di esecuzione differenti e quindi con una conseguente variazione sul numero totale di ripetizioni eseguite, provoca uno stimolo-reazione a livello metabolico diverso?
Pongo la questione in maniera più semplice possibile. Sì tratta di due serie, eseguite con lo stesso peso, da parte dello stesso soggetto, protratte entrambe fino al raggiungimento del cedimento positivo.
La differenza sta nella cadenza e ribadisco non nel tempo sotto tensione, perché è la cadenza la variabile su cui si può agire direttamente, rallentando o velocizzando le fasi della ripetizione, mentre le ripetizioni totali sono una variabile derivante indiretta, data dal rapporto tra carico e cadenza.
Quindi, queste ipotetiche due serie possiedono un TUT di 20 secondi (durata massima della tensione a cui possono essere sottoposti i muscoli quando di adopera un carico corrispondente al 80% dell’intensità), ma in una la durata complessiva delle singole ripetizioni è di due secondi, mentre nell’altra ogni ripetizione ha la durata di quattro secondi.
Se anche la matematica non è un opzione, nel primo caso per esprimere un TUT di 20 secondi saranno necessarie dieci ripetizioni, mente nel secondo caso, considerando la rallentata velocità di esecuzione, che ricordo è l’unica variabile della serie che può essere rallentata, ne saranno necessarie cinque.
PRIMA CONSIDERAZIONE
Nel caso delle 10 ripetizioni, per eseguirle tutte in quel lasso di tempo, devono essere per forza molto rapide.
La cadenza ideale sarebbe 101, ma chi si allena veramente sa bene che è impossibile rispettare quel ritmo nel corso della serie, a maggior ragione con un carico tale da raggiungere l’incapacità.
Quindi l’opzione più realistica è quella di eseguire una fase eccentrica che dura meno di un secondo e ricercare velocità anche in concentrica, che dovrebbe durare meno di un secondo nelle primissime ripetizioni, un secondo o più intorno a metà della serie, circa due secondi poco prima delle ripetizioni finali e più di due secondi nelle ultime ripetizioni della serie.
Più ripetizioni significa muovere il carico più volte, esattamente per il doppio delle ripetizioni rispetto alla serie con cadenza più lenta. Significa anche il doppio del volume/tonnellaggio.
SECONDA CONSIDERAZIONE
In questo caso bisogna rallentare in eccentrica, mantenendo una concentrica esplosiva.
Una cadenza ideale sarebbe 301, tuttavia come nel primo caso, nonostante sia possibile mantenere invariata o quasi la velocità della fase eccentrica, la fase concentrica subisce una variazione (rallentamento) con il sopraggiungere della fatica.
È più realistico immaginare una fase eccentrica inferiore ai tre secondi ed una fase concentrica che all’inizio è esplosiva (meno di un secondo) e che nelle ultime ripetizioni rallenta (due secondi o più).
TERZA CONSIDERAZIONE
Sappiamo che il massimo danno in termini di lacerazioni dei tessuti che compongono le singole fibre muscolari si genera in fase negativa, ma è anche vero che i muscoli godono di un vantaggio meccanico in questa fase della ripetizione, poiché trattenere un carico in opposizione alla forza di gravità è meno faticoso che spostarlo nello spazio.
Cercando di eseguire più ripetizioni possibili, la fase eccentrica non può essere enfatizzata, quindi si provoca meno danno, ma al tempo stesso le unità motorie sono messe in condizioni di essere reclutate al massivamente nella fase di svantaggio meccanico per svolgere tutto il lavoro possibile in termini di quantitativo di ripetizioni e questo consentirà di produrre il massimo del volume/tonnellaggio.
CONCLUSIONI
Non appartenendo al girone degli ignavi, mi schiero.
Lo faccio perché la mia esperienza nel sollevamento di ghisa pesante è quasi maggiorenne, un’esperienza basata sull’intuito e sullo studio, che mi hanno condotto dopo tutti questi anni di pratica diretta sul campo a capire qualcosa su cosa è successo al mio corpo, cosa continua a succedergli e immaginare cosa probabilmente gli succederà.
Inoltre ho lavorato per più di 12 anni (e continuo a farlo) per consentire a centinaia di persone di costruire forza e massa muscolare.
Sono convinto che a parità di carico, range of motion e tempo sotto tensione, sia meglio fare più ripetizioni all’interno della stessa serie.
Eseguire più ripetizioni a parità di tutto il resto, produce più densità (lavoro per unità di tempo) e volume (tonnellaggio), due parametri fondamentali per scatenare una risposta adattativa positiva.
I motivi li ho argomentati nei due parametri precedenti.
La fase negativa/eccentrica della ripetizione, è quella che provoca maggiore danno muscolare, ma è anche la fase più semplice da eseguire per una questione di vantaggio meccanico.
Per renderla veramente faticosa, andrebbe aumentato il carico (intensità), ma cambierebbe tutto, anche perché in questo caso non sarebbe possibile eseguire la fase positiva con le proprie forze.
Inoltre, le variabili in gioco da poter proporre come argomento di analisi sono pressoché infinite, considerando i molteplici meccanismi che generano ipertrofia muscolare.
Per questo ho analizzato una sola ipotesi, in cui tutte le variabili ed i parametri sono uguali, tranne uno.
Spero di aver fornito un motivo per fare sì che chi legge si sperma le meningi…
Di Scilipoti Nino